please wait, site is loading

Emidio De Albentiis – ottobre 2002

Emidio De Albentiis – ottobre 2002

Tra natura e idea: le illuminazioni interiori di Giovanna Bruschi

È occasione piuttosto rara, nel mondo sostanzialmente convulso e arrivista in cui ci è toccato in sorte di vivere, incontrare artisti capaci di perseguire in un lungo arco temporale la traccia profonda di un proprio percorso, intimo e appartato, programmaticamente lontano – non per boria o supponenza ma per naturale convinzione – dalle luci chiassose, ma troppo spesso vacue, della ribalta e del protagonismo ad ogni costo. Non appena ho avuto la ventura, grazie ad uno di quei casi fortunati che talvolta arricchisce di ulteriore senso il nostro cammino di amanti dell’arte, di conoscere l’universo creativo e la poetica della perugina Giovanna Bruschi, ho trovato immediata e preziosa conferma di questo fondamentale assunto: la particolare fedeltà all’arte coltivata con passione e coerenza fin dagli anni giovanili della formazione accademica, svoltasi nell’orizzonte degli anni ’70 con la frequentazione di personalità rilevanti – quali, tra gli altri, Gerardo Dottori (nel suo estremo empito vitale di padre nobile dell’arte umbra contemporanea), Dante Filippucci (pittore e scrittore d’arte di rara finezza), e padre Diego Donati (incisore valentissimo particolarmente attratto dalla spiritualità del paesaggio umbro) -, ha consentito a Giovanna Bruschi di dare vita ad un personalissimo hortus conclusus, in cui far affiorare le proprie riposte sensazioni e i più intimi trasalimenti dell’animo, in un diario per immagini pervaso di illuminazioni interiori, talvolta subitanee talaltra conquistate con lenta ma sicura fatica.
Affinatasi negli anni nella particolare tecnica dell’acquaforte affiancata da un’acutissima perizia nelle varie modalità espressive del disegno, la Bruschi è riuscita nell’operazione tutt’altro che scontata di trovare un linguaggio formale perfettamente calibrato sul suo modo di essere e di sentire. Sfogliando la raccolta delle sue incisioni e della sua opera grafica mi è più volte risuonato nella mente il celebre, e spesso abusato, aforisma dell’intellettuale illuminista Georges-Louis Buffon, secondo cui «lo stile è l’uomo». Ed in effetti, tutto, nei segni e nelle immagini di Giovanna Bruschi, comunica il senso profondo della sua ricerca etica ed estetica, racchiusa nella direttrice che dalla superficie dell’apparenza porta ai paesaggi dello spirito, in una dialettica nella quale natura e idea, materia concreta ed essenza impalpabile si scambiano di continuo ruoli e parti. Dopo una lunga e meditata fase iniziale in cui l’artista fu attratta dal mondo vegetale, nella sua struttura di vitale superficie coprente, è poi passata ad opere in cui questo particolare velo sigillante è stato intenzionalmente valicato per lasciare spazio alle emozioni del proprio animus, in una ricerca, tuttora in corso, centrata sulla necessità sempre più convinta di dar vita ad un procedimento disvelante e rivelante, rivolto a se stessa prima ancora che agli altri in perfetta sintonia con la sua natura schiva e appartata. Ed è in questo percorso che lo stile ha costantemente espresso, con grande pregnanza, la veritas umana ed estetica di questa sensibilissima artista: i diversi gradi di profondità spaziale, la sorvegliata attenzione nel dosaggio dei chiaroscuri, la compenetrazione fra la densità dei pieni e l’aerea luminosità dei vuoti (costituiti talvolta di purissima luce), l’alternanza e più spesso la convivenza tra la materialità naturalistica e l’astrazione simbolica, sono queste solo alcune delle strategie segniche perseguite con felicità di risultati da Giovanna Bruschi che, sovente, ama usare una dominante circolare per alludere – con la multiforme efficacia di un’allegoria riuscita – alle qualità visionarie del proprio occhio.
C’è poi un ulteriore aspetto che rende sorprendente il linguaggio formale dell’artista perugina, la capacità di richiamare, nella sua prassi operativa, grandi stilemi del passato, senza per questo perdere qualcosa della propria indiscutibile originalità. Ciò avviene perché non si tratta affatto di citazionismi (molto di moda in questi ultimi due decenni), quanto piuttosto di una conoscenza profonda della nostra eredità culturale che la porta a rievocare, se l’immagine da creare è appropriata alla bisogna, le `mischie’ e le profondità leonardesche, la cura meticolosa dei dettagli propria di un Dürer e della gran parte della tradizione incisoria nordica, i ritmi sinuosi e avvolgenti della migliore stagione barocca. E, conviene ripeterlo, senza che mai si possa dire di essere di fronte a banali calchi di questi modelli di così alto spessore storico-artistico: Giovanna Bruschi appartiene evidentemente a quella non foltissima schiera di creatori di forme in grado di avere perfetta padronanza dei linguaggi e degli stili, ricercando di volta in volta l’espressione più efficace per ciò che si intende comunicare, un po’ come avviene, volendo fare esempi attinti dalla grande arte, ai diversi registri, deliberatamente scelti, presenti in un Angelico, come in un Renoir o in un Picasso.
Non si può non concludere queste brevi note senza un rimando ad un’altra significativa caratteristica della poetica della Bruschi: la capacità di muoversi con la medesima efficacia sia nel grande formato che nella piccolissima dimensione. Vorrei, in particolare, sottolineare proprio questa singolare predilezione di questa artista per incisioni minuscole, non più grandi di un francobollo, talvolta addirittura più ridotte: capita sovente che in questi piccoli frammenti Giovanna Bruschi evochi grandi vastità spaziali e luminose, facendo coesistere dialetticamente – anche in questo caso in perfetta coerenza con la sua poetica – la fragilità intrinseca della nostra condizione di uomini e l’universo incommensurabile che ci avvolge, esattamente sulla falsariga delle indimenticabili riflessioni dedicate a questo tema da Blaise Pascal o nei versi inarrivabili dell’Infinito leopardiano. Ed è forse proprio in questa dialettica tra l’Io e il Cosmo che acquista senso la venatura mistica così spesso presente nell’arte di Giovanna Bruschi: un senso religioso mai espresso come una certezza da imporre agli altri, ma vissuto come un suggerimento a volgere lo sguardo al di là della propria finitezza per cercare la luce di Dio, per chi crede in essa, o almeno quel `cielo stellato’ che fu capace di infondere a Immanuel Kant la misura della propria legge morale.

GIOVANNA BRUSCHI - Via Luigi Einaudi 19 06125 Perugia (PG) - 075 5847724 - 342 5752486 [email protected] c.f. : BRSGNN45D41G478E -