please wait, site is loading

FRANCO BOZZI – 4 gennaio 1998

FRANCO BOZZI – 4 gennaio 1998

LA RICERCA DELLE PAGINE PERDUTE
Molti anni fa, quando ero poco più che un ragazzo, e preso da un desiderio di aprirmi ad ogni suggestione di cultura leggevo gioiosamente e disordinatamente di tutto ( come ancora adesso, ammaestrato da quella esperienza, consiglio di fare ai miei adolescenti inquieti ) mi capitò fra le mani un libro di Albert Schweitzer, I grandi pensatori dell’India. Io frequentavo allora il cenacolo di Aldo Capitini, e mi interessavo perciò dei temi di religione e di filosofia, che fornivano l’oggetto di discussione dei nostri pomeriggi domenicali. La tesi sostenuta da quello stravagante personaggio, medico dei lebbrosi nell’Africa nera e possente interprete all’organo della musica di Bach, mi colpì subito per la sua icastica semplicità. L’Occidente, affermava in sintesi l’autore, dice di si alla vita ed al mondo; ha dunque un atteggiamento positivo nei riguardi del lavoro e della storia, crede nelle capacità della ragione di guidare il corso degli eventi, affida alla filosofia un compito eminentemente rivoluzionario. L’Oriente, alla vita ed al mondo dice invece di no: ha nei loro confronti un atteggiamento negativo, si nutre della sfiducia di poter modificare le cose, si rifugia nella solitudine e nella contemplazione, si dissolve nell’identità mistica dell’anima individuale con l’anima universale. Non nego di aver poi trovato, proseguendo nei miei vagabondaggi intellettuali, elementi che potevano suffragare una così nitida e lineare visione. Ma oggi un’asserzione del genere non la
Sottoscriverei più: le cose mi sembrano assai più complicate di quanto non apparissero all’eclettico stregone di Lambarenè.
Se per esempio è vero che il pensiero indiano trae origine dai testi mistico – religiosi delle Upanisad, non per questo dovremo ignorare che esso esprime anche un’etica, un’estetica, una politica, una filosofia della scienza. E parimenti, se l’impronta razionalistico – socratica del pensiero europeo risulta evidente, ciò non può condurci a disconoscere gli aspetti teosofici e sapienziali che vi son presenti in abbondanza, né farci trattare da disertori dell’Occidente quei filosofi che, come Schopenhauer, hanno cercato nell’ascesi la liberazione dal dolore e nell’estasi il rimedio all’insopportabile peso del vivere. Razionalità e misticismo diventano allora non più due contrapposte frontiere, ma un unico intreccio che è possibile districare solo servendosi di uno strumento capace di oltrepassare la parvenza fenomenica per cogliere l’universalità dell’idea: e a raggiungere un tal fine non saprei indicare altro che l’arte.
Questa premessa era necessaria per dare senso compiuto all’interpretazione di una artista quale Giovanna Bruschi, e per cercare di penetrare l’opera sua feconda e doviziosa. Giovanna parte da una rappresentazione della realtà per così dire calligrafica; seguendo la lezione dei grandi del nostro Rinascimento ( penso alla cura che il Pinturicchio riserva al più piccolo dettaglio, dal filo d’erba al mattone, nelle sue pale d’altare ) anatomizza, viviseziona e riproduce i suoi soggetti; ogni foglia ed ogni frutto della terra ci viene mostrato in una asetticità totale ( e qui il riferimento immediato è a Padre Diego Donati ) , con tutte le venature, i nervi e le pieghe che si possono afferrare nell’immagine di un attimo, sospendendo come per incanto il tempo e la mutazione. Ad un primo sguardo sembrerebbe la classificazione minuziosa di un botanico, che stia mettendo ordine nel regno vegetale; o la paziente misurazione di un geometra, intento ad enumerare filari, cascinali, recinti per la rilevazione catastale ( ne ho viste di splendide, nelle biblioteche o negli archivi settecenteschi ). Ma se si osserva più attentamente si capirà che la begonia, o la canna palustre, o la vite piantata dall’uomo racchiudono, al di là della fissità in cui sono incastonate, il principio della vita. Quando l’intelletto ha esaurito il suo compito – che è quello di catalogare e di descrivere – subentra la conoscenza intuitiva che ricongiunge l’individuo con il tutto. Non ci sorprende allora che Giovanna sia passata, quasi insensibilmente, dalla meditazione grafica sulla natura alla lettura – sillabata con la preziosa fragilità della matita – di una grande mistica , quale la Beata Angela folignate. Diremo anzi che questa evoluzione era già iscritta nelle sue prime prove, che il caso ( il quale ha sempre un ruolo misterioso e determinante nelle vicende umane ) si è incaricato di portarla a compimento.
Razionalità e misticismo si intrecciano e si compenetrano in Cartesio, in Spinoza, nell’illuminismo ( che non a caso ha la medesima radice, etimologica e concettuale, di illuminazione ). E in uno spirito eletto che come pochi ha saputo fa convivere in sé le due dimensioni, della scienza e della religione, uno spirito che a Giovanna è particolarmente caro – intendo Blaise Pascal – e di cui mi piace dunque riportare uno tra i frammenti più significativi: “ Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce”.
Certo, quando un laico come me parla di misticismo, attribuisce a questa parola una valenza diversa da quella che le può attribuire un credente. Ricordo un colloquio con una amica suora sui due clochers, il romanico severo e il gotico fiammeggiante, della cattedrale di Chartres. Io vi vedevo la straordinaria maestria delle corporazioni muratorie medioevali, con le loro tecniche e i loro segreti; lei lo sforzo, o meglio ancora lo slancio del corpo mistico dei fedeli in Cristo per innalzarsi al cielo. Oggi so che in quelle torri c’è l’una e l’altra cosa Ognuno legge l’opera d’arte secondo quello che porta dentro di sé.
A queste considerazioni, di ordine e valore universale, altre se ne possono aggiungere, più particolari e vicine. Noi viviamo in una terra – l’Umbria – che costituisce un osservatorio privilegiato del fenomeno mistico, come almeno lo si è vissuto in Occidente. L’humus di tale fenomeno è il francescanesimo, con il suo animismo cristiano e creaturale, ma pure con il suo naturalismo solare e giullaresco. Non dunque rinuncia, annullamento ed auto – dissoluzione, ma gioia , compartecipazione, senso laudico per la bellezza e la finalità del creato, e se vogliamo usare una sola parola che tutto compendia, amore. E’ il sentimento che trasfigura il volto della donna beata come Giovanna l’ha reso, con la sua incredibile matita che sembra, più che disegnare, dipingere, incidere e scolpire, volto ingenuo e voluttuoso insieme, semicoperto dai veli e dai venti, i grandi occhi chiari che emanano innocenza e seduzione. Né parlo di amore snervato, esausto, o di quella sublimazione che è lo sfibrarsi dell’amore. Il misticismo scaturisce, al contrario, dalla pienezza dell’amore, dalla carnalità del desiderio, dall’offerta di sé all’altro, dal voler essere dall’altro interamente posseduti. C’è in esso una forte componente erotica, attestata dalla presenza di sante che le cronache coeve ci dicono, oltre che grandi penitenti, grandi peccatrici. Né questo deve meravigliarci, essendo il binomio perdizione/ salvazione applicato alla figura muliebre un luogo comune dell’antifemminismo sessuofobico medioevale. Umberto Eco, nel Nome della rosa ,fa dire ad Ubertino da Casale: “Quando la natura femminile, per sua natura così perversa, si sublima nella santità, allora sa farsi il più alto veicolo della grazia”. E, nel pronunciare queste parole, il vecchio maestro francescano in odor di eresia ha in mente tre donne umbre: Angela da Foligno, appunto, e con lei Margherita da Città di Castello e Chiara da Montefalco. E quando, nel corso del colloquio, il suo compagno d’ordine Guglielmo di Baskerville ricorda i baci di Angela al corpo di Cristo, allora diventa evidente che nell’estasi c’è un risvolto orgastico: ciò che ben colsero d’altronde i sommi artisti, dal gotico al barocco, quando fissarono, sulla tela o sulla pietra, i turbamenti, i rapimenti, i trasporti, i sussulti, gli spasimi. Che ora Giovanna rende, modernamente e simbolicamente, con vortici ed abissi dai quali si intravedono sogni, figure, allucinazioni.
Quanto una tale tradizione abbia pesato sulla cultura umbra lo conferma la tentazione mistica in persone votate al ragionamento e al calcolo, come Marianna Florenzi, che si avvicina alla Naturphilosophie dello Schelling e ripete la frase di Meister Eckhart: “C’è una scintilla divina nascosta in ogni anima; è lì che bisogna cercare”. O in un fautore della religione aperta, come Aldo Capitini, che fa della compresenza dei morti e dei viventi e del colloquio corale fra tutti gli esseri della terra la chiave per capire il significato della storia. “Solo il fiore che hai colto è tuo”. Ecco, chi si commuove sentendo sotto i suoi piedi lo spesso molle tappeto delle foglie marce, chi respira la neve che lentamente ricopre le leccete del Subasio, chi nei tagli di luce sul Trasimeno ritrova le aeree vedute del Dottori, chi benedice la pioggia perché rigenera il prato ed aggira il sentiero nel bosco per non lacerare la tela che il ragno ha tessuto fra due rami, costui – razionalmente e misticamente consapevole della sua appartenenza al tutto – ha saputo accogliere in sé il divino.
Tradurre queste sensazioni in segno, e trasmetterle agli altri, è il compito che Giovanna si è assunta, e non è compito facile. Il critico può solo cercare di rendere più agevole il cammino, esplicitando ciò che oscuramente si agita nell’animo umano. E poiché ho iniziato con un riferimento all’Oriente voglio terminare ( non senza ricordare, en passant, che questo è il nome con cui Dante indica Assisi ). In una Storia della filosofia orientale, un’altra delle mie letture di gioventù, trovai la citazione di un poeta persiano, che paragonava l’universo ad un manoscritto di cui fossero andate perdute la prima e l’ultima pagina. La filosofia, chiosava l’interprete, è la ricerca delle due pagine perdute. Né il procedimento logico né quello anagogico hanno saputo finora trovar quelle pagine, darci una risposta convincente circa la nostra provenienza e la nostra destinazione. Ma chissà che almeno uno spiraglio sul buio da cui Angela emerse per trovare la luce non possa aprircelo l’arte. Auguri, Giovanna.

GIOVANNA BRUSCHI - Via Luigi Einaudi 19 06125 Perugia (PG) - 075 5847724 - 342 5752486 [email protected] c.f. : BRSGNN45D41G478E -